venerdì 19 luglio 2013

[Recensione] Corner's Church, di Matteo Zapparelli

Non basta una bella idea per scrivere un bel romanzo.
È questo che, purtroppo, ho pensato leggendo Corner’s Church.

Corner's Church
di Matteo Zapparelli

TRAMA


Un thriller carico di suspense che vi trascinerà in un vortice di violenza e mistero, nel quale nessuno è davvero chi sembra. Perché qualcosa di terribile sta accadendo a Corner's Church, e nulla sarà più come prima.
Alex Snyder, detto il Biondo, è un agente federale la cui unica ossessione è quella di trovare e ammazzare con le proprie mani un pericoloso serial killer, soprannominato Serpe, che ha ucciso il suo più caro amico e collega Bob. Il Biondo è un uomo malato, al quale un grave tumore al cervello ha concesso al massimo un paio d'anni. La sua vita non ha più alcun valore. Pur di trovare Serpe è disposto a tutto, scendendo a qualsiasi compromesso.
Seguendo le tracce dell'assassino il Biondo giunge a Corner's Church, una minuscola cittadina del Colorado, dove stringe un patto con il vicesceriffo Benson, un uomo arrivista e svogliato, il cui unico interesse è concludere la carriera in bellezza. Tenendo nascosto il caso all'FBI, Benson spera di prendersi tutti i meriti, lasciando al Biondo la sua personale vendetta.
E' un gioco perverso, quello di Serpe, ma è un gioco nel quale solo il Biondo è protagonista...


Forse la mia delusione è stata acuita dalla consapevolezza che l’autore sa scrivere bene: il primo capitolo, infatti, mostra una grande cura sotto molti punti di vista. È un incipit intrigante, con un misterioso individuo che sfreccia nella notte con l’auto piena di mozziconi di sigarette e la testa piena di imprecazioni non pronunciate. Il paesaggio in cui la macchina corre riflette l’animo distorto e rancoroso del protagonista.

«La statale è una distesa senza fine di nero asfalto, una striscia dritta che procede per chilometri violentando la foresta sconfinata e impenetrabile che la circonda.»

Peccato che poi, dal secondo capitolo in avanti, la qualità della narrazione subisca un tracollo.
Innanzitutto, il Capitolo 2 è tutto in corsivo e in prima persona. Viene da chiedersi: cos’è questo capitolo? Dei pensieri, una lettera, una pagina di diario? Per essere dei pensieri, sono scritti in modo troppo lineare, con qualche chicca stilistica adatta a un testo letterario, non al flusso di coscienza di un detective cinico, prosaico e decisamente arrabbiato con la vita. Insomma, si ha l’impressione che il capitolo sia stato inserito solo per riepilogare l’antefatto senza sprecare troppe pagine. È un brano che si potrebbe eliminare, poiché l’antefatto viene ripreso continuamente nei pensieri del protagonista lungo tutto il corso della storia.

Proseguendo oltre, si nota che lo stile, come purtroppo accade spesso quando si tratta di un’autopubblicazione, è sempre meno curato. Le frasi sono meno ragionate, meno intense e meno originali, e diventano, invece, ricorrenti espressioni banali del tipo “la polizia brancolava nel buio”, “partire per la tangente”, “non le dà via di uscita”, “occhi iniettati di sangue”, “è un’arma a doppio taglio”, eccetera.
Tra le altre cose, ci sono alcuni errori di battitura (“quanto” anziché “quando”), e addirittura alcuni errori grammaticali (“d eufonica”, uso spesso scorretto della virgola, uso di “gli”, quando il contesto richiede “le”, pronome femminile). C’è anche la tendenza a mettere inserti inutili, i quali, anziché aggiungere senso, fanno singhiozzare il ritmo della frase.
Ma il difetto più fastidioso è la confusione dei punti di vista.
Ad esempio, sembra che l’autore stia riportando il punto di vista del vicesceriffo Benson di Corner’s Church, e invece troviamo che Snyder viene chiamato “il Biondo”. Ma Benson non è a conoscenza del soprannome di Snyder (che gli è stato dato quando lavorava nell’FBI), quindi “Biondo” non dovrebbe comparire nei brani dedicati al punto di vista di Benson.
E questo non è l’unico caso. Per tutto il romanzo c’è un continuo mescolarsi di osservazioni che, nella stessa frase, appartengono ora a un personaggio ora a un altro, senza un’alternanza logica e chiara.

Oltre ai difetti stilistici, si hanno, poi, degli elementi che, lasciati senza spiegazione, possono lasciare scettico il lettore. Dalle ferite di una vittima si dovrebbe dedurre il luogo in cui avverrà il prossimo omicidio? In che modo? Questa informazione con una spiegazione avrebbe reso tutto molto interessante e originale, ma senza un chiarimento fa scricchiolare il realismo della storia.

Infine, ho lasciato per ultimo l’errore più clamoroso: un personaggio cambia nome nel mezzo di un dialogo. Accade nel Capitolo 15: uno che si chiamava Miller diventa Merrit all’improvviso e rimane Merrit fino alla fine del capitolo.

Insomma, tutto quel che ho segnalato poteva essere eliminato semplicemente con un editing più accurato.
Perché, in realtà, come ho sottolineato all’inizio, l’idea di fondo è bella e forte, e merita di essere sviluppata.
È intrigante, angosciante e terribile l’idea di un protagonista che sta per morire poiché gravemente malato, ma che non vuole morire prima di prendere il serial killer che ha rubato la vita al suo migliore amico. La caccia di Alex al serial killer è un gioco crudele e una sfida agghiacciante, è la ricerca dell’impossibile vendetta contro la morte.
Altrettanto affascinante è il sistema dei personaggi, incentrato sulle coppie, in cui uno dei due elementi è sempre il protagonista Alex Snyder.
Alex e l’amico defunto Bob; Alex e Claire; Alex e il vicesceriffo Benson; Alex e il serial killer: con ognuno di loro, il nostro “Biondo” ha qualcosa in comune e qualcosa che lo distacca. Su questo tessuto di opposti e rimandi si fonda una rete di personaggi finemente legata, interessante più per ciò che accomuna Alex agli altri che per ciò che lo separa da tutti. Alex è vivo, ma è intrappolato dall’ossessione per Serpe, il serial killer, quanto lo è stato Bob in vita. Alex e Claire hanno avuto la stessa infanzia difficile, e hanno la stessa voglia di ricominciare una nuova vita, anche se non è semplice per nessuno dei due. Alex e il vicesceriffo Benson sono entrambi meschini ed egocentrici; nonostante non lo vogliano ammettere, e nonostante passino tutto il tempo a denigrarsi a vicenda, sono in realtà personaggi così simili che potrebbero essere la stessa persona. E, infine, Alex e il serial killer sono freddi, annoiati, hanno lo stesso tono amorfo, sono entrambi indifferenti nei confronti della sofferenza e della morte delle vittime: le povere donne uccise sono, per Alex, un modo per vendicarsi dell’amico e, per il killer, un modo per far capire ad Alex “qualcosa”.
Che cosa? Ma questo è l’epilogo, e non si può svelare.

In conclusione, il romanzo di Matteo Zapparelli posa le fondamenta su idee forti e belle, ma alcuni difetti stilistici impediscono alla storia di innalzarsi a piani superiori.

Ma Zapparelli, come dimostra nel primo capitolo, ha tutti i numeri per liberare questa storia dai difetti, rendendola un romanzo interessante, e attendiamo i suoi futuri lavori.

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