domenica 29 settembre 2013

Se sogni troppo a lungo

"Se sogni troppo a lungo, trovi qualcuno al tuo risveglio?"
Questa domanda mi è apparsa oggi nella testa.
E mi tormenta.

Perché che cos'è la scrittura, se non un lungo, intenso sogno dal quale ci si risveglia mettendo l'ultimo punto?


Se ad ogni nuovo romanzo sarò così presa dalle parole nella mia testa, cosa - chi? - troverò ogni volta che le avrò finite?
Ci sarà sempre qualcuno, quando aprirò gli occhi? 

Ci sarai sempre tu?
Gisella


lunedì 23 settembre 2013

[Recensione] Il cuore selvatico del ginepro


Buon inizio settimana a tutti!
Oggi vi parlo di un libro che mi aveva incuriosito fin dalla copertina e che non ha deluso le mie aspettative.
Aggiungo che, per chi fosse interessato, venerdì scorso ho avuto il piacere di conoscere di persona l'autrice, Vanessa Roggeri, e di intervistarla: pubblicherò l'intervista nei prossimi giorni (il tempo di riorganizzare gli appunti!). Intanto, ecco la recensione del suo bel romanzo d'esordio, Il cuore selvatico del ginepro.

TRAMA

È notte. Il cielo è nero come inchiostro, e solo a tratti i fulmini illuminano l'orizzonte. È una notte di riti e credenze antiche, in cui la paura ha la forma della superstizione. In questa notte il rumore del tuono è di colpo spezzato da quello di un vagito: è nata una bambina. Ma non è innocente come lo sono tutti i piccoli alla nascita. Perché questa bambina ha una colpa non sua, che la segnerà come un marchio indelebile per tutta la vita. La sua colpa è di essere la settima figlia di sette figlie, e per questo è maledetta. E qui nel suo paese, in Sardegna, c'è un nome preciso per le bambine maledette, si chiamano cogas, che significa streghe. Liberarsene quella stessa notte, senza pensarci più. Così ha deciso la famiglia Zara.
Ma qualcuno non ci sta. Lucia, la primogenita, compie il primo atto ribelle dei suoi dieci anni di vita. Scappa fuori di casa, sotto la pioggia battente, per raccogliere quella sorella che non ha ancora un nome. La salva e la riporta a casa, e decide di chiamarla Ianetta.
 

Bello e crudele come una fiaba antica, Il cuore selvatico del ginepro è un romanzo suggestivo che affascina e inquieta. Così mi sono sentita mentre lo leggevo: irretita e spaventata al punto di non saper distogliere lo sguardo, come accade con tutte le cose incantevoli e terribili.
La storia è incentrata sulle drammatiche vicende di una famiglia: gli Zara. Nella loro casa a Baghintos, un paese della Sardegna di fine ‘800, viene al mondo una bambina, ma non è come le altre: è nata con tutti i denti e con un codino, e questo basta, agli occhi della sua famiglia sconvolta, a far di lei una coga – una strega – che di certo causerà la rovina di tutti. Per questo la bambina dovrebbe essere uccisa prima che sorga il prossimo sole, ma a salvarla sono la pietà del padre e la dolcezza della figlia maggiore, Lucia, che la chiama Ianetta e le permette, con le sue cure affettuose, di sopravvivere alla notte.

La storia ruota attorno a loro, a Lucia e Ianetta, ma i personaggi in scena sono molti. C'è Assunta, la madre di famiglia che non si dà pace per aver partorito una coga; c'è Severino, il padre, che non sa perdonarsi quell'attimo di pietà (che sua moglie chiama debolezza) in cui non è riuscito a uccidere la propria figlia appena nata. Ci sono, poi, il nonno e le altre figlie, ognuna tratteggiata brevemente. Sono tutti personaggi suggestivi, ma non molto complessi e risultano piuttosto statici, ritratti sempre nell'atteggiamento che caratterizza ognuno di loro. Lucia è sempre dolce; Pinella, la secondogenita, è sempre odiosa e invidiosa; Assunta è sempre tormentata, Severino è sempre buono e vittimista, e così via. Insomma, non c'è evoluzione e non c'è cambiamento nei personaggi, nonostante il racconto abbracci quasi trent'anni di storia: ognuno di loro vive intrappolato nel proprio incubo personale e immutabile.

Questa mancanza di sfaccettature, tuttavia, non impedisce di affezionarsi a loro, e di seguire le loro vicende ricche di eventi misteriosi e intriganti, narrate con uno stile che sa rendere appieno la forte carica emotiva di ogni personaggio. Quello di Vanessa Roggeri è, infatti, uno stile semplice e spontaneo, ricco di dialettismi che rendono realistici i dialoghi. Vanessa, inoltre, racconta senza giudicare mai. La cecità che porta gli Zara a esiliare l'ultima delle figlie è presentata senza moralismi, con una semplicità disarmante, che fa riflettere. Così il lettore può notare la dolorosa contraddizione delle tradizioni popolari. Da un lato, infatti, le superstizioni della famiglia Zara e di tutto il paese di Baghintos condannano Ianetta all’emarginazione; dall’altro, la stessa famiglia che pronuncia la condanna è condannata a sua volta. Per colpa della propria cieca superstizione, gli Zara si faranno trascinare da un odio ottuso e ingiustificabile, rovinando sia i primi anni di Ianetta, ma soprattutto i propri.

Come si è detto, solo Lucia, la maggiore delle sei figlie degli Zara, si sottrae a questa doppia maledizione. Perché Lucia sa vedere oltre le apparenze. Perché Lucia è buona e bella quanto Ianetta è brutta e (come tutti credono) cattiva.

Così, grazie a Lucia, Vanessa Roggeri può dipingere un quadro in cui si mischiano le tinte oscure della tradizione popolare a quelle calde del dolce e difficile legame tra le due sorelle. E alla fine, nonostante il dolore e le difficoltà, nonostante i momenti di inquietudine e di violenza, è questo legame che resta nel cuore del lettore e lì, come il ginepro, che vive anche quando fuori sembra bruciato, dà i suoi frutti inaspettati e preziosi.

Se siete curiosi e volete approfondire questa storia,
leggete l'intervista all'autrice che pubblicherò nei prossimi giorni.

giovedì 19 settembre 2013

[Segnalazione] Il mio nome è Nessuno. Il ritorno

Buon pomeriggio, Lettori vaganti!
Vi segnalo l'ultimo libro del mio primo amore letterario, Valerio Massimo Manfredi, di cui ho letto tutto da quando, a dodici anni, mi sono imbattuta ne Lo scudo di Talos (che prima o poi non mancherò di recensire qui).
Quest'anno ho avuto la fortuna di vedere l'autore dal vivo, al Salone del Libro di Torino, e di sentirlo parlare di Ulisse, di sentirlo leggere brani del suo splendido, nuovo romanzo!


Purtroppo non sono ancora riuscita a leggere il numero uno, ma nell'attesa parliamo del numero due (e ultimo) di questa "duologia".


VALERIO MASSIMO MANFREDI
IL MIO NOME E' NESSUNO. IL RITORNO
Mondadori (2013)
336 pagine - € 19,00

TRAMA

Ci sono voluti dieci anni ininterrotti di guerra e di sangue, di amori feroci e di odio inestinguibile, per sconfiggere i Troiani. Ora Odysseo deve rimettersi in viaggio con i suoi uomini per fare ritorno a Itaca, dove lo attendono la moglie fedele, il figlio lasciato bambino, la ricompensa per tante sofferenze solida, grande e desiderata quanto il letto nuziale intagliato nel tronco d'ulivo.
Ma il nòstos, il ritorno, è una nuova avventura: Odysseo deve riprendere la lotta, la sua sfida agli uomini, alle forze oscure della natura, al capriccioso e imperscrutabile volere degli dei. Vano è disporre gli animi alla gioia del ritorno: l'eroe e i suoi compagni dovranno affrontare imprese spaventose, prove sovrumane, nemici insidiosissimi come il ciclope Polifemo, i mangiatori di loto - il fiore che dà l'oblio - e poi la maga incantatrice che trasforma gli uomini in porci, i mostri dello Stretto, le Sirene dal canto meraviglioso e assassino... Il multiforme Odysseo, il coraggioso Ulisse, l'astuto Nessuno dovrà raggiungere i confini del mondo e addirittura evocare i morti dagli inferi, sperimentando lo struggimento più immedicabile al cospetto di chi ormai vive nel mondo delle ombre, e ancora finire su un'isola misteriosa dove una dea lo accoglierà e lo terrà avvinto in un abbraccio dolcissimo e pericoloso per lunghi anni...
Poi, finalmente, con il cuore colmo di dolore per i compagni perduti lungo la rotta, ecco compiersi il ritorno. Il giorno dell'esultanza.
Il giorno della vendetta.
Dopo aver cantato la nascita e la formazione dell'eroe e la guerra sotto le alte mura di Pergamo, Valerio Massimo Manfredi dà voce nuova e potentissima al viaggio più straordinario di tutti i tempi: quello che sta all'origine di ogni narrazione dall'antichità a oggi, quello che da Dante a Joyce fino a noi colma di trepidazione tutti coloro che l'ascoltano.
Il viaggio dell'ardimento e della conoscenza, il viaggio della perdizione e dell'amore, il viaggio di un eroe umanissimo e immortale.
Tanto che Manfredi osa guardare verso l'orizzonte su cui i più grandi poeti si sono interrogati nei secoli: quello dell'Ultimo Viaggio di Odysseo. È mai davvero morto il re di Itaca, il figlio di Laerte, l'eroe vagabondo?


Se siete interessati, qui trovate alcuni video in cui Valerio Massimo Manfredi parla di Ulisse:

Chi conosce questo autore?
Avete già letto questa dualogia?

martedì 17 settembre 2013

Frasi d'angelo

Buonasera, Lettori vaganti!
Oggi vi parlo di un piccolo gioco a cui potete partecipare sulla pagina facebook del mio romanzo.


Se durante la lettura avete sottolineato delle parole per non dimenticarle, se le battute di un dialogo vi hanno fatto riflettere e vi sono rimaste impresse, allora inviatecele in un messagio privato:

Di me diranno che ho ucciso un angelo 

Saremo felici di sapere quali sono le parole che vi hanno toccato.

Intanto, vi lascio la mia frase preferita.
"La vita è fumo, la vita è cenere. E l’unico modo per vivere è lasciare che entri, che penetri fino in fondo, lasciare che ti annerisca i polmoni. Ed è per questo che ti fa così paura, angelo candido: perché vivere significa inquinare se stessi. Ed è per quello che ti affascina tanto: perché la vita, proprio nell’istante in cui si consuma più intensamente, prende, nell’aria, una bella forma".
Partecipate numerosi!
Vi aspettiamo! ;)

p.s.: se volete condividere l'iniziativa, potete condividere questo post

oppure il seguente banner.

Agave delle cose vaganti

sabato 14 settembre 2013

Estrazione GIVEAWAY#2! Una copia di "Red Carpet" a...

Buongiorno, Lettori vaganti!
Al giveaway di una copia di Red Carpet [la mia recensione QUI], messa gentilmente a disposizione dall'autrice, avete partecipato veramente in tanti... e ne siamo liete. ;)

Ma so perché siete qui e non prolungherò oltre la vostra agonia.
Il fortunato vincitore (estratto casualmente da Rafflecopter) è...

*rullo di tamburi*


a Rafflecopter giveaway

Complimenti, Federico!
p.s.: controlla la posta elettronica in questi giorni! ;)

Ringrazio tutti per aver partecipato così numerosi e mi auguro che questo giveaway abbia suscitato la vostra curiosità nei confronti di Red Carpet.


Alla prossima!

mercoledì 11 settembre 2013

[Recensione] Il trono dei serpenti



Titolo: Il trono dei serpenti 
Autore: A. J. Flamel
Editore: Gainsworth
200 pagine - €12.00

TRAMA

Il pretore Gaio Ticio Massimo, ex generale vittorioso e celebrato eroe della guerra contro i Daci, viene convocato con urgenza dall'imperatore Traiano. Mentre venti di guerra soffiano dai confini orientali dell'Impero, dove il grande regno dei Parti sta radunando nuove forze militari, a Roma si incrociano le trame oscure di spie e agenti stranieri, sulle quali Massimo dovrà vigilare. Il ritorno di un vecchio nemico e un delitto inspiegabile coinvolgeranno ben presto il Pretore in una spirale di pericolo e mistero, mettendo alla prova le sue doti di soldato e di investigatore.


«La storia si muove per grandi periodi, segnati da regni, governi e imperi. Nulla rimane come è, tutto muta, ma stranamente tutto si somiglia.»

Buonasera, Lettori vaganti! Come state? Io in questi giorni sto studiando per l’esame scritto di latino (non obbligatorio per laurearmi, ma necessario per chi, come me, un domani vuole insegnare) e avevo proprio bisogno di un bel giallo che mi intrigasse e mi distraesse un po’ dall’interminabile periodare di Cicerone.
Posso dire che Il trono dei serpenti ha soddisfatto quasi del tutto le mie aspettative (e poi è ambientato nell’antica Roma: cosa potevo volere di più?).


Il romanzo d’esordio di A. J. Flamel sa, infatti, dosare con buona misura elementi storici ed elementi di fantasia, dispensati in una trama ben congegnata, anche se con qualche rallentamento. Attraverso le affollate vie di Roma, le eleganti domus e le aperte campagne, si snoda la storia del riscatto di Massimo, pretore romano, da una tragica decisione presa anni prima, che è costata la vita al suo amico Camillo e non ha portato all’eliminazione del suo nemico, Ageste. Ora il passato di Massimo torna a perseguitarlo come un fantasma, ma è un fantasma in carne, ossa e cicatrici. Ageste non è morto ed è deciso a vendicarsi del pretore e dell’intero Impero romano. Starà a Massimo capire l’inganno che si cela dietro il trono dei serpenti...

Le intricate indagini del pretore vengono descritte con uno stile molto posato che lascia ampio spazio alle descrizioni. La lentezza è una caratteristica che di solito apprezzo nei romanzi, soprattutto in quelli storici, perché è bello assaporare i luoghi e la vita di quel passato lontano. Purtroppo, però, ne Il trono dei serpenti, le descrizioni sono spesso svolte da un punto di vista "turistico": Roma non è vista con gli occhi dei personaggi dell’era di Traiano, ma con occhi contemporanei.
Qualche breve esempio tra i tanti:

«…i veterani sembravano divertirsi moltissimo, secondo un costume radicato da secoli nell’esercito romano.»

«Le terme erano in genere un luogo di socializzazione, dove si potevano ritrovare gli amici, incontrare parenti e vicini, ascoltare le ultime notizie, scambiare pareri o pettegolezzi.»

Sembra che l’autore stia citando da un manuale di storia e per tale motivo il lettore potrebbe sentirsi meno coinvolto nelle vicende, più portato ad avvertire lo scarto tra quell’epoca e la nostra. Meglio sarebbe stato vedere Roma con gli occhi di un romano antico, sentire che le distanze con quel tempo perduto si annullano e svaniscono.

Un punto stilistico positivo è, invece la giusta alternanza tra descrizione e dialogo e tra momenti drammatici e momenti di ironia. L’ironia coinvolge soprattutto i personaggi secondari (irresistibile la scena con il famoso storico Tacito, ritratto in tutta la sua stramberia di genio eccentrico e scorbutico) e più raramente le parti narrative.

«Meridiane e altri orologi solari si trovavano in tutta la città. […] Tale abbondanza non deve far pensare che i Romani fossero assillati dallo scandire del tempo, tutt’altro, in città era normale presentarsi agli appuntamenti con una tolleranza di un’ora. Inoltre, stante all’imprecisione della maggior parte di questi dispositivi, per dirla con Seneca, a Roma era più facile mettere d’accordo i filosofi che gli orologi.»

L’ironia serve anche a stemperare il carattere serioso del protagonista, Gaio Ticio Massimo, pretore, veterano di guerra temprato da anni di battaglie, e dunque maledettamente arcigno. Massimo è come ci si aspetterebbe da un Romano doc: leale alla Patria e all’Imperatore, di solidi princìpi e di impeccabile virtù. Non è, comunque, un personaggio del tutto monolitico: il suo sentirsi spesso impotente di fronte ad alcuni fatti, come l’omicidio dell’amico Camillo, lo rende più umano e originale.
 
In conclusione, il romanzo di A. J. Flamel è un’opera che si legge con voracità. Contiene, inoltre, delle belle idee (soprattutto verso la fine) che svelano una buona capacità di costruzione di trama e situazioni.
Purtroppo, però, non sempre ci sono tutte le caratteristiche per far immergere completamente il lettore nel romanzo, facendolo affezionare ai personaggi (delineati troppo rapidamente perché li si possa amare). Facendo, insomma, sentire al lettore di essere davvero, mentre Massimo e i suoi fidati compagni indagano tra le vie di Roma, o mentre Massimo e i suoi soldati, sul campo di battaglia, combattono “senza pietà, animali sanguinari e insanguinati”.

lunedì 9 settembre 2013

[Segnalazione in anteprima] Quando eravamo foglie nel vento

Buongiorno, Lettori vaganti!
Inizio la settimana segnalandovi un romanzo che, per il richiamo a Mrs Dalloway della mia amata Virginia Woolf, trovo davvero interessante.

IL CASO EDITORIALE
Ancora prima della pubblicazione, Quando eravamo foglie nel vento è stato incoronato dalla stampa come il debutto più promettente dell'anno. Aste agguerrite si sono scatenate per acquistarne i diritti, che sono stati venduti in più di 15 paesi nel mondo. E, appena uscito, il pubblico l'ha amato senza riserve. Attraverso la voce di una protagonista indimenticabile, Anne Korkeakivi ci regala una storia di amore e colpa, redenzione e perdono, perché a volte quello che si credeva di dover nascondere è il dono più grande che la vita ci può dare.


TRAMA

Da sempre Clare Moorhouse ama camminare nella folla di Parigi, fra i boulevard e gli stretti vicoli del quartiere latino. Tra gli sguardi frettolosi dei passanti, passi svelti e mani che si sfiorano per sbaglio, Clare riesce a essere sé stessa completamente. Solo in mezzo a completi sconosciuti si sente al sicuro. Nessuno può riconoscerla, nessuno può scoprire il segreto che da anni custodisce nel cuore, nemmeno il vento di primavera che le scompiglia i capelli biondi.
Ma oggi è un giorno speciale. Clare ha appena saputo di dover organizzare una cena importante per suo marito, un diplomatico in carriera. Forse per lui è arrivato il momento di ottenere la tanto attesa promozione ad ambasciatore. E tutto dipende dalla cena che Clare ha appena dodici ore per definire. Un compito che può svolgere solo lei, abituata a rendere ogni ricevimento impeccabile. Per lei non è mai stato un problema, eppure oggi, mentre sceglie le primule da mettere nel centrotavola o corre al Bon Marché per gli ingredienti più raffinati, un peso le tormenta l'anima. Perché il nuovo incarico per suo marito sarà in Irlanda. E Dublino è la città che nasconde il segreto dal quale Clare ha cercato di fuggire per vent'anni. Tutta la sua vita perfetta, suo marito, i suoi figli e quello che ha di più caro sono in pericolo: oggi, tra la folla che l'ha sempre fatta sentire protetta, sono riapparsi gli occhi azzurri di un uomo che Clare credeva morto. Un uomo che è l'unico al mondo a conoscere il suo passato, e che adesso potrebbe spazzare via la tela di inganni così sapientemente intessuta…

HANNO DETTO DI QUESTO LIBRO

«Illumina la scena letteraria internazionale di una nuova luce.»
The New York Times
«Una protagonista affascinante, un'ambientazione perfetta. È l'esordio dell'anno.»
Vogue
«Dipinge con straordinario acume le profondità del cuore umano.»
Kirkus Reviews

Vi lascio, per finire, una chicca in anteprima: il menù della cena perfetta
(cliccare sull'immagine per vederla ingrandita).


Allora, cosa ne pensate? ;)


giovedì 5 settembre 2013

[Recensione] Eclissi, di Francesco Mastinu


Buongiorno, Lettori vaganti!
Oggi vi parlo di un libro che forse ha qualche difetto, ma che, con il suo stile limpido e intenso, è riuscito a commuovermi e coinvolgermi come pochi romanzi d'esordio sono riusciti a fare.
 Quel che rimane tra i suoni della luce mattutina e i sospiri 
delle stelle è sempre la stessa cosa, Riccardo. Si chiama buio.


Eclissi, di Francesco Mastinu
Lettere Animate (2012)

TRAMA

L’Eclissi è il buio, il mare silenzioso del dolore. Riccardo sa che si tratta del suo stato di sopravvivenza, per ovviare a quei ricordi che non osa riportare alla luce, ma a cui non può sfuggire.
Italia, giorni nostri:
Riccardo e Alessandro, un incontro che si trasforma in un colpo di fulmine.
In un resoconto che dura dieci anni, Riccardo ripercorre la loro vita insieme, dall’innamoramento alla convivenza e ai compromessi dell’età adulta. Fra contrasti, l’assenza e il desiderio di riscatto, la loro storia verrà messa a dura prova.
Un percorso doloroso e toccante, nel quale Riccardo dovrà fare i conti con le illusioni e le scelte compiute, in un passato dove l’amore, a volte, rimane l’unica via possibile, ma che da sola non può bastare.
Un ritratto accorato, che ci insegna cosa significhi per due persone, ancora oggi, amarsi senza avere tutela del loro legame.


Riccardo e Alessandro si conoscono, si innamorano a prima vista, e da quel momento lottano per affermare il loro amore di fronte agli occhi della società italiana, ancora chiusa e ostile, ancora convinta che l’omosessualità sia una “malattia” da curare.
Alessandro è bello, affascinante e ha un lavoro stabile, mentre Riccardo, il protagonista, è più giovane, dolce, sensibile, intenso e appassionato in ogni cosa, in ogni gesto. Forse fin troppo e in alcuni momenti si sente la necessità di un controcanto ironico per alleggerire l’insostenibile pesantezza dell’essere di Riccardo. Tale pesantezza è, tuttavia, giustificata, fino a un certo punto, dai vari drammi che agitano il personaggio, e da uno più di tutti:
  
Quello di amare un uomo con tutto me stesso e nel contempo sentire di dover ottenere il perdono della mia famiglia proprio per questo.



 Ma Eclissi non è solo la storia di un amore tra due uomini con tutte le difficoltà che essa comporta nella società italiana: Eclissi è un romanzo che narra la forza e le contraddizioni di un amore che attraversa il tempo. L’atmosfera che, leggendo, si respira tra le pagine è di continuo incanto per un sentimento che continua, cresce, ha dei periodi difficili ma continua comunque, contro ogni aspettativa e al tempo stesso con la sorprendente naturalezza di tutte le cose belle. Questa bellezza è resa palpabile dallo stile di Francesco Mastinu: una scrittura emozionata ed emozionante.

Il presente diveniva futuro, un abbraccio in cui scivolammo appagandoci finché il giorno non si tramutò in una notte d’inverno.

C’è da dire, però, che lo stile, volutamente essenziale, non è sempre efficace: la brevità delle frasi crea un ritmo veloce e momenti molto intensi, ma alcune espressioni tendono a ripetersi: diverse volte Riccardo è “distrutto”, o “ferito”, senza che si vada oltre a un paio di aggettivi spesso simili o uguali. Lo scrittore, insomma, accarezza la superficie dei sentimenti, sfiora il loro cuore, ma l’io profondo dei personaggi rimane nel non detto, nel silenzio che stringe i loro abbracci. Una scelta stilistica certamente voluta, ma forse, in un romanzo così incentrato sull’emotività dei personaggi, sarebbe stato necessario toccare il fondo dei loro pensieri, non restare sul vago, sui “Ti amo” detti a fior di labbra, per quanto siano belli.

Un altro elemento di disarmonia è dato dai dialoghi, i quali, soprattutto in bocca ai genitori di Riccardo, possono risultare artificiosi, teatrali, come se ripetessero un copione imparato a memoria.

«Mio figlio non è così!»
«Tu non lo rivedrai più!»

A parte queste note stonate, il romanzo è, in genere, equilibrato, realistico e al tempo stesso poetico. Come un sogno lucido.
Il ritmo è scorrevole (soprattutto da metà in avanti) e l’attenzione del lettore è mantenuta viva da un sapiente incastro tra il passato e il presente di Riccardo, e dall’uso alternato tra la prima, la seconda e, più raramente, la terza persona. Particolarmente efficace il cambio di persona nel momento in cui si narra del dolore di Riccardo: si passa dalla prima alla seconda, come se il dolore creasse uno straniamento che induce il protagonista a vedersi dall’esterno.
In questa girandola di emozioni, gli eventi trascinano il lettore verso un finale inaspettato e commovente, che può strappare più di una lacrima. Ma è un finale d’ombra che, tuttavia, non eclissa la luce.

In conclusione, l’opera di Francesco Mastinu non è priva di difetti, come spesso accade con i romanzi d’esordio, ma sono visibili i tratti di una sapienza narrativa (nella costruzione dell’intreccio, e in alcune splendide frasi che, come piccole perle, si incastrano tra le pagine) non comune agli esordienti e che si svilupperà – ne sono certa – nelle sue opere future.