domenica 19 luglio 2015

Il miglior consiglio che si possa dare a uno scrittore


A volte qualcuno mi chiede un consiglio di scrittura. Io non ne do mai, ma riporto il migliore che io stessa abbia mai ricevuto:

Non tutto ciò che scrivi merita di essere pubblicato.

Me lo disse Beatrice Masini un paio di anni fa. Lei era direttrice Rizzoli ragazzi, e avevo da poco pubblicato per questa casa editrice Di me diranno che ho ucciso un angelo. Mi ricordo che parlai con Beatrice e le chiesi: “Ora ho esordito. Il romanzo sta andando bene. E adesso?”
Le parlai poi di alcuni progetti che avevo in testa, di cose che volevo scrivere, che stavo già scrivendo.
Dopo avermi ascoltato e fatto delle osservazioni, disse quella frase come se la buttasse lì per caso.
Ma era, è ancora, fondamentale.

È fondamentale perché la scrittura è un divertimento, un'ossessione, una necessità. Ma ciò di cui lo scrittore ha bisogno non necessariamente può essere significativo per il pubblico.
Dunque scrivetevi un post it e appendetelo allo schermo del computer: “Non tutto ciò che scrivi merita di essere pubblicato”. Che si può tradurre con “Non si può pubblicare qualsiasi cosa solo perché è stata scritta.”

Parlando di me, ci sono, infatti, dei romanzi che scrivo per sviluppare dei temi importanti solo per me, che mi aiutano a superare momenti di crisi, a fare chiarezza in un periodo difficile, o anche solo a divertirmi o a svagarmi un po'. Ma tutto questo per un'altra persona non avrà nessun significato.
Ricordate l'immortale Borges, nella Ricerca di Averroè? “L'immagine che un solo uomo può formare non tocca nessuno.” Cioè, la poesia vive di immagini universali; le piccole singole verità, per quanto vere, non possono essere edite, perché giovano solo a chi le crea, e a nessun altro.

Facciamo un passo avanti, e parliamo di stile.
Lo stile è qualcosa che si forma attraverso anni di profonde e meditate letture, e spesso attraverso tante prove di scrittura. Difficile che il primo romanzo che scriviamo sia anche quello che vedrà la luce.
In altre parole, ci sono romanzi che sono, e devono restare, delle prove di scrittura, degli esercizi di stile. Qualcosa che produciamo per migliorarci, per imparare a gestire i personaggi, a dosare con sapienza sequenze narrative, dialogiche, descrittive, eccetera eccetera.
Certo, alcuni esercizi fortunati, alla fine, riescono bene e meritano la pubblicazione (solo dopo essere stati cambiati profondamente rispetto alla prima stesura), ma per la maggior parte un esercizio è un esercizio, e ciò che si è imparato a padroneggiare nel romanzo A potrà essere applicato con successo nel romanzo B.

Ecco, questo è il mio consiglio, che poi non è neanche mio, ma di una delle maggiori esperte di editoria in Italia. Se fossi in voi, lo seguirei. Io ci sto provando, anche se è la cosa più difficile del mestiere di scribacchina.

6 commenti:

  1. In un paese dove ci sono più scrittori che lettori poi, direi che è azzeccatissimo ;)
    Sia ovvio, la mia non è una polemica nei confronti di chi scrive, quanto piuttosto nei confronti di chi scrive senza coscienza di sé.
    Buona serata :)

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  2. Hai ragione, Penny Lane. E diciamo pure che avere coscienza della qualità della propria scrittura è più difficile dell'atto di scrittura stesso. Insomma, i romanzi e i racconti sono le nostre creature, e per le nostre creature noi vogliamo il meglio, vogliamo che vedano la luce e girino per il mondo, non che restino chiuse in un cassetto. Ma ahimé, sai quante storie ho scritto e non meritano la pubblicazione, essendo solo esperimenti?

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  3. Contenta di leggere questo post e condivido il pensiero :)

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  4. Grazie, Lucrezia. :) E bentornata da queste parti! :)

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  5. Condivido pienamente. Anche perché tutto ciò che si pubblica rimane. Meglio farlo solo quando si è convinti e "orgogliosi" del risultato.

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    1. Esatto. L'abilità (difficile) sta nel saper prendere le distanze dal proprio testo. È naturale sentirsi orgogliosi appena abbiamo scritto qualcosa. Ma se si può scrivere tutto, si può pubblicare solo il meglio.

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