“Ora tu mi ami, ma non mi sei veramente amico.
‘Forse che queste due cose sono diverse?’
Certo, e non si somigliano affatto. Chi è amico, ama; ma chi ama non è sempre amico.
L’amicizia giova sempre; l’amore, a volte, può far male.”
E poi:
“È vero che, anche quando si è lontani, quelli che amiamo ci danno motivo di gioia, ma essa è lieve e fugace.
Invece il loro aspetto, la loro presenza, la loro conversazione danno un senso di vivo piacere [...]. Perciò fammi un grande dono: quello della tua presenza. [...]
Affréttati a venire da me, ma prima sii con te stesso.”
È strano ritrovare nelle parole di un uomo vissuto anni fa qualcosa di mio.
E probabilmente è per questo che si studia ancora latino (così come si studia la letteratura, così come si leggono ancora libri): trovare qualcosa di nostro in parole altrui ci fa sentire meno soli e più completi.
Non siamo ipocriti: sappiamo tutti e due (io che scrivo e tu che leggi) che preferirei passare il sabato mattina a fare altro piuttosto che stare a tradurre Seneca.
Ma poi, traducendo, vengo illuminata da frasi del genere e penso che, tutto sommato, poter studiare latino è anche una fortuna, perché questo vecchietto vissuto duemila anni fa può farmi intuire qualcosa sul vero volto del mio presente.
Agave
E' esattamente così. La seguirò con interesse Signorina, Le farò richiesta d'esser Suo seguace.
RispondiEliminaA rileggerLa.
ciao Agave... io ho studiato il latino (e pure il greco). E' stata una faticaccia, molto più difficile il Liceo Classico rispetto a Lettere e Filosofia all'Uni per dire, però mi è servito, molto, per ampliare le conoscenze. Tante parole vengono da lì e poi gli autori, la letteratura è fiorita in quel periodo.
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