Essere o non essere. Qui il problema è letterale.
Il protagonista del nuovo romanzo di Ian McEwan è un Amleto a testa in giù, sospeso tra nascere e non nascere. Un feto che assiste a un delitto: il "guscio" è il ventre di sua madre, Trudy, che uccide il marito con la complicità dell'amante, Claude.
Non conosciamo il suo nome, ma ne assaporiamo l'ironia. Questo nascituro - con grande divertimento dell'autore - si sente già vivo e vissuto e disquisisce di vini e di filosofia. Oscilla tra l'odio per la madre, l'attaccamento edipico e una tenero senso di protezione. Ma proteggere chi? Un'assassina?
Le pagine scorrono e le domande si moltiplicano. Claude è uno sciocco o un genio? Trudy è vittima o carnefice? John, il marito assassinato, è un romantico ingenuo o un disilluso venditore di sogni?
E ancora, che cosa c'è al di fuori di questo guscio di noce? Per chi non è ancora nato ma esiste solo nel grembo materno, nascere è una piccola morte, e la vita non sembra più reale di un sogno.
Infatti, il nostro Amleto scopre il mondo esterno grazie alla radio, che ascolta tutto il giorno. Alla radio si informa sui fatti mondiali, dai discorsi di Trudy e Claude capisce ciò che sta per accadere. Ed è questo il centro del suo dramma: fare o non fare? La proverbiale impotenza di Amleto qui è letterale: ripiegato su se stesso, prigioniero della propria condizione, non può agire. Non può fermare l'omicidio di suo padre, né vendicarsi. Come nel dramma shakespeariano, è protagonista e spettatore immobile.
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Alessandro Preziosi in Amleto |
Ascolta e immagina. E la sua forza sta nella sua immaginazione, la risposta al dubbio amletico sta nella profondità delle sue domande. Perché, sa se la possibilità di fare è ridotta, la fantasia non ha limiti.
E allo stesso modo, mentre si rinchiude in un guscio di noce, McEwan sa essere il re, ironico e dissacrante, di uno spazio infinito.